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Sentenza Mondo di mezzo. “Corruzione non è mafia. Troppa enfasi sul 416 bis

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di Federica Olivo HUFFPOST

“Non c’è da mettersi le mani nei capelli, è stato accertato un reato diverso, non meno grave. Nel sistema di Buzzi e Carminati non c’era assoggettamento e intimidazione, ma accordo a delinquere tra parti”

“Non parliamo di un reato meno grave, anzi, i danni sociali sono ugualmente molto pesanti, ma di un reato diverso. Mafia e corruzione non sono la stessa cosa, ed è bene ricordarlo. E non c’è da fare una malattia, né da mettersi le mani nei capelli, se la Suprema corte ha detto che l’applicazione del 416 bis, nel caso del processo d’Appello nato dall’inchiesta Mondo di Mezzo, è stata sbagliata”. Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, già ministro della Giustizia, commenta così con HuffPost la sentenza della Corte di cassazione sul processo che è salito agli onori della cronaca con il nome di Mafia Capitale.

Di mafioso, però, nel sodalizio comunque criminale creato dai condannati, non c’era nulla. Lo aveva anticipato la Suprema corte a ottobre, quando aveva ribaltato la sentenza d’Appello, che invece confermava l’impianto della procura di Roma. Lo ribadiscono quelle 379 pagine di motivazione pubblicate il 12 giugno, che pongono fine a una storia lunga quasi sei anni. Iniziata con un dispiegarsi di sirene che correvano per la Città eterna e finita con una certezza: le associazioni criminali esistevano, ma non erano mafiose. “Non si fondavano, ed è un passaggio importantissimo, sull’assoggettamento, sull’intimidazione e sull’omertà, ma su un accordo tra parti”, dice ancora Flick, che sottolinea quanto sia importante non confondere i due piani. Non assimilare, come pure il legislatore in alcuni casi ha fatto, due reati così diversi. E, ancora, non etichettare tutto come un fenomeno mafioso. Perché poi si rischia di perdere per strada le differenze, oltre che considerare meno rilevanti reati che, invece, sono altrettanto gravi.

Professore, nelle motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo “Mondo di mezzo”, i giudici scrivono che a Roma “emerge un quadro complessivo di un ‘sistema gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimonio della pubblica funzione”. Non mafia ‘capitale’, quindi ma corruzione. Quali sono i pericoli nel confondere i due piani?
La risposta è semplice e complicata al tempo stesso. Qui parliamo di una norma, l’articolo 416 bis, che è stata applicata male. E in materia penale un errore del genere è preoccupante. La Cassazione, e questo deve essere chiaro, ha sostenuto che le condotte dei condannati non fossero riconducibili all’associazione per delinquere di stampo mafioso ma a una, anzi due, associazioni per delinquere ordinarie. La prima volta all’estorsione, la seconda alla corruzione. Si tratta di reati altrettanto squalificanti. Il danno criminale che viene fatto alla società non è minore, ma è diverso.

Nell’impostazione dell’accusa, confermata non dalla decisione di primo grado ma dalla sentenza d’Appello, si riconducevano invece le condotte del sistema di Buzzi, Carminati e degli altri condannati al 416 bis.
Era, lo dice la Cassazione, un’impostazione distorta. Mancavano i presupposti di fatto e di diritto per poter applicare l’articolo che disciplina l’associazione per delinquere di stampo mafioso.

Capita sempre più spesso – lo ha fatto anche il legislatore nella Spazzacorrotti per quanto riguarda l’applicazione della pena – che si tenda a sovrapporre, quasi a identificare, i due reati. Invece si tratta di due condotte diverse. In cosa consiste la differenza?
Ce n’è una molto semplice, ma determinante. L’associazione mafiosa si avvale della forza dell’intimidazione e dell’assoggettamento, del vincolo dell’omertà. Questi sono gli elementi che la Cassazione non ha ritrovato nel caso di cui parliamo. Nel caso della corruzione non c’è questa disparità: non c’è un individuo che minaccia, intimidisce, e un altro che è assoggettato. Il rapporto è paritario. Ci sono un corruttore e un appartenente alla pubblica amministrazione che è pronto a cedere alle richieste del primo o a barattare, scambiare, denaro con la messa a disposizione del proprio potere. Non c’è, è evidente, intimidazione, ma uno scambio che si pattuisce. Potrebbe esserci certamente omertà, ma è dovuta alla convenienza reciproca, non al timore di uno nei confronti dell’altro. Confondere le due cose genera un problema. Ma c’è anche un’altra questione che si pone.

Quale?
L’enfasi, eccessiva, anche mediatica, solo su un tipo di reato. In questo sull’associazione per delinquere di stampo mafioso. La mafia, lo dicono i fatti e le sentenze, anche della Cassazione, può esserci ovunque, a Roma come nel resto del mondo. Ma ciò non toglie che esistano anche altri tipi di reati. E io credo che dare una rilevanza preponderante al 416 bis comporti il rischio di sottovalutare altri crimini. Non è che, affinché un’inchiesta raggiunga determinati risultati, tutto possa o debba essere etichettato come mafia.

Nel processo Mondo di Mezzo, la grande attenzione sul termine “mafia” ha inevitabilmente distorto l’attenzione dalle altre accuse. E restituito una visione del fenomeno non veritiera. Poi sono arrivate le motivazioni della Cassazione a rimettere in qualche modo in ordine le cose.
E a riaffermare la certezza del diritto. Un tema, questo, per varie ragioni in crisi negli ultimi tempi. Perché, io credo, la stiamo sottovalutando. Questo accade anche perché oggi abbiamo più attori che possono, anzi devono, garantirla, nonostante i suoi inevitabili limiti. Non solo la corte di Cassazione ma anche, ad esempio, la Corte costituzionale, le due corti europee e i giudici di merito.

Possiamo dire che con questa decisione la Suprema corte rimarca quei confini, necessari, tra mafia e corruzione?
Sì, anche se bisogna ricordarsi che questa decisione è vincolante solo per il caso concreto. Ma io spero, e mi auguro, che i giudici che si troveranno ad affrontare casi simili in futuro, prima di discostarsi da questa sentenza ci pensino. Non una, ma tante volte.