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Serve una legge per chi vuole suicidarsi e non può farlo da solo

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Giovanni Maria Flick interviene nel dibattito sulla decisione del tribunale di Milano che ha rinviato alla Corte il caso di dj Fabo e Cappato. “La Consulta non basta”
L’intervista di Claudia Fusani per TNews

Etica, coscienza e legge, dunque scelte private e vita quotidiana. L’ordinanza della corte d’Assise di Milano sul caso Dj Fabo-Cappato le chiama tutte in causa. In un dibattito alto che interroga ognuno di noi. I giudici di Milano hanno assolto Marco Cappato (Radicali italiani) - oggi schierato con Emma Bonino, da sempre in primo piano nelle battaglie radicali soprattutto sul fine vita e sull’eutanasia - dall’accusa di aver “determinato Fabo al suicidio”; ma hanno rinviato alla Corte Costituzionale gli atti per la parte dell’articolo del codice penale (580 cp) che punisce anche chi ne “ha agevolato in qualsiasi modo l’esecuzione”. Fabiano Antoniani, Dj Fabo, è rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente stradale avvenuto nel 2014. Il 27 febbraio 2017 è andato in Svizzera per morire. Cappato era con lui, la madre e la compagna.  Per i giudici Fabiano ha deciso “liberamente e consapevolmente” di morire e l’aiuto di Cappato non ha un alcun modo influito sulla sua decisione. “Siamo alle solite, i giudici vengono chiamati in supplenza della politica. C’è un vuoto legislativo. Come c’è stato per nove lunghi anni sul fine vita” dice il professore Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale e ministro della Giustizia ai tempi del governo Prodi.

Professore, l’articolo 580 del codice penale prevede una pena dai 5 ai 12 anni per due diverse fattispecie: per chiunque “determina o rafforza l’altrui proposito al suicidio” ovvero per chi “ne agevola l’esecuzione”. Su questa seconda parte della norma, i giudici di Milano chiedono lumi alla Consulta perché intravvedono profili di incostituzionalità. E’ d’accordo?
“Il problema principale è capire che interpretazione dare alla norma che punisce chi agevola in qualsiasi modo l’esecuzione del suicidio. Il punto è vedere se è possibile interpretare in modo più riduttivo “agevolare in qualsiasi modo” il suicidio rispetto a quanto già stabilito con un’interpretazione rigorosa della Cassazione. Quello che serve è stabilire il confine tra dare assistenza e solidarietà a chi muore e dare un contributo causale alla sua morte. Un tema molto serio e ancora più difficile”.

Però non ha risposto. Mettiamola così: l’ordinanza della Corte d’Assise di Milano è positiva? Negativa? Entrambe le cose ed eventualmente perché?
“Entrambe le cose. In bioetica non esiste il confine netto tra bianco e nero come nella realtà. Quel confine vive nei principi ma non nella concretezza. Detto questo, è negativo che per decidere l’interpretazione della norma si debba rinviare ancora una volta alla Consulta attuando il solito meccanismo della supplenza. Tutto questo però è positivo perché ci costringe a riflettere su temi molto alti alzandoci sul tono sconvolgente dell’attuale campagna elettorale”.

Quell’articolo del codice penale probabilmente è ”superato” dai passi avanti che sono stati fatti dalla medicina per cui oggi si può tenere in vita una persona le cui funzioni vitali sono grandemente menomate o non più autosufficiente o in una condizione di intollerabile di dolore. Non crede?
“Il problema del tenere in vita una persona è stato chiarito di recente dalla legge sul testamento biologico. Grazie alle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento, ndr) oggi si può rifiutare - anche in anticipo, con certe cautele - qualsiasi trattamento terapeutico compresi i salvavita come l’idratazione e la ventilazione forzata. Un caso Englaro non dovrebbe più, per fortuna, ripetersi. Questo caso è completamente diverso, qui si tratta di una persona che decide lucidamente e liberamente di farla finita ma non può farlo da sola. Il suicidio non è un reato nel nostro Paese.  L’istigazione, l’aiuto o l’agevolazione, lo sono. Si apre allora un duplice tema: la diseguaglianza tra chi apre una finestra e si butta di sotto e chi vorrebbe farlo ma non può; e poi, secondo il giudice, l’irragionevolezza di trattare allo stesso modo l’istigazione e l’agevolazione”.

La Costituzione, cui lei ha dedicato un bellissimo elogio per il settantesimo compleanno, (Elogio della Costituzione, ed. Paoline), dice che la vita è inviolabile. E’ un diritto inviolabile anche quello della dignità della persona. Come si trova la sintesi etica tra questi due diritti?
“A me sembra che la Carta lo abbia già risolto affermando che la vita è inviolabile da parte di terzi soggetti, a cominciare dallo Stato. Nessuno può violare la mia vita. Basta leggere l’articolo 27 della Costituzione che abolisce la pena di morte e fissa il principio per cui la vita è un diritto fondamentale di ciascun individuo.  Diverso è il caso per cui io stesso decida di morire. Lo posso fare per la ragioni più svariate: la madre che si sacrifica per salvare il feto; chi rifiuta il trattamento terapeutico per coerenza con la propria fede e, ad esempio, non vuole le trasfusioni di sangue; chi muore per testimoniare quella fede, chi dice “lasciatemi tornare alla casa del Padre”. Fabo ad un certo punto ha detto a tutti, alla madre, alla compagna, agli amici: non ho più la dignità per tornare a vivere. Il problema è se possa chiedere e ottenere l’aiuto degli altri per portare a compimento il suo disegno in un contesto normativo in cui la vita è indisponibile ai terzi”.

C’è un vuoto normativo?
“C’è un vuoto normativo che va riempito attraverso un intervento del legislatore; non attraverso l’interpretazione della Corte Costituzionale”.

Era necessario inviare gli atti alla Consulta? Che comunque non potrà entrare nel merito delle leggi.
“I giudici potevano tentare di interpretare come è già successo altre volte, ad esempio a Vincenza il 2 marzo 2016. In quella occasione i giudici dissero che accompagnare una persona in Svizzera è una semplice assistenza in nome della solidarietà. Accompagnare non integra quindi la condotta, penalmente rilevante, dell’agevolazione.  Ecco perché dico che quel vuoto deve essere colmato dal Parlamento che ripeto, deve chiarire una volta per tutte il problema di se e come coinvolgere una terza persona. Le norme si dichiarano incostituzionali solo quando non consentono un’interpretazione conforme alla Costituzione; non quando consentono una interpretazione in contrasto con essa”.

Nell’ordinanza dei giudici di Milano si legge che “in base alla Costituzione e alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo a ciascuno deve essere riconosciuta la libertà di decidere come e quando morire a patto che ciò avvenga in piena consapevolezza ed autonomia”. A questo punto allora è legittimo ipotizzare una forma di eutanasia legale? Tra l’altro esistono più disegni di legge in Parlamento che però non sono mai stati presi in considerazione.
“Il tema oggi sul tavolo è se, come, quando e perché farsi aiutare da una terza persona per esercitare il diritto di decidere della propria vita. Io credo che sia forte il timore che un disco verde all’assistenza e all’agevolazione per ragioni umanitarie, possa un domani trasformarsi in un via libera per altri tipo di ragioni: famigliari, ereditari o di economia generale. Qualcosa del tipo: è inutile che teniamo in vita un anziano visto che abbiamo pochi posti letto in rianimazione”.

Concorda che c’è una “disuguaglianza” da sanare, quella tra chi può uccidersi da solo e chi non può farlo…
“Vero, ma dico anche che tipizzare l’intervento del terzo per finalità umanitarie può rischiare di aprire la porta ad una forma di eutanasia generale sulla quale personalmente sono contrario, come molti. Sono temi molto delicati che presuppone scelte altrettanto difficili da parte del Parlamento”.

Lei più di una volta ha detto che meno si legifera sui temi della bioetica e meglio è. Per tutti.  Perché?
“È molto problematico regolare per legge i temi della bioetica. Per due ragioni: è difficile, forse impossibile, ricondurre ad una formula generale ed astratta le infinite variabili dei casi concreti. In secondo luogo il diritto è ricerca di equilibrio tra istanze ed esigenze spesso tra loro contrastanti. I tecnici la chiamano tirannia dei diritti, quella per cui ogni diritto tende ad estendersi al massimo a spese degli altri diritti. E’ compito della legge trovare equilibrio e mediazione tra diritti che possono essere in contrasto tra di loro. Ma è molto difficile, soprattutto su questi temi”

A suo avviso, allora, il Parlamento ha fatto male ad approvare il fine vita?
“Il Parlamento ha fatto bene. Ha messo paletti necessari e ha detto il meno possibile. Ha fissato alcuni punti fermi e poi ha lasciato che sia il giudice a completare la mediazione nel caso concreto attraverso un procedimento che consenta di sentire tutti gli interessati e valutare tutti gli interessi (non quelli patrimoniali), i legami e gli affetti in gioco. Unico appunto che posso fare è che quella legge è arrivata troppo tardi”.

Occorreranno aggiustamenti?
“È abbastanza inevitabile. Emergeranno  dall’applicazione concreta. Invito a riflettere su un aspetto: non è un caso se la legge sul “fine vita” non consente al medico, il terzo più vicino al malato, di accogliere la richiesta di un trattamento eutanasico”.