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La politica non può fare da scudo se un ministro oltrepassa i suoi poteri

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 di Liliana Milella per Repubblica del 2/11/2018

 

“Il principio della separazione dei poteri non è un passpartout generale per commettere reati. Dipende se i poteri ci sono per legge, e come vengono esercitati”. Dice così Giovanni Maria Flick, ex Guardasigilli ed ex presidente della Consulta.

Il caso Diciotti si sgonfia e Salvini ovviamente esulta. Il procuratore di Catania Zuccaro vuole archiviare perché “la scelta politica non è sindacabile dal giudice penale per il principio della separazione dei poteri”. Che impressione le fa?
“Si tratta di un’affermazione generica che andrebbe specificata meglio per poterla valutare in astratto in quanto vi possono essere scelte politiche di competenza specifica del ministro, per le quali può valere il principio della separazione dei poteri, e scelte invece che non rientrano nelle sue competenze. In secondo luogo, mi sembra che occorra conoscere se vi è stata, e in quali termini, una decisione politica del ministro che possa essere ricondotta alla sua competenza anche nelle modalità”.

Non è un precedente pericoloso stabilire che qualsiasi decisione politica, che comporta concrete conseguenze, sia di per sé insindacabile?
“Proprio per questo si tratta di conoscere che tipo di decisione politica sia quella richiamata solo in termini generali dalla dichiarazione attribuita al procuratore”.

 I fatti sono noti. Salvini chiude la porta ai migranti perché così preme sull’Europa per una redistribuzione. Bloccare chi sta sulla Diciotti serve a questo, ma è un reato o no?
“Il problema non è quello delle motivazioni per cui agisce il ministro. Ma verificare se ne abbia la competenza e come abbia formulato l’eventuale ordine dato al comandante della nave”.

 Facciamo un’ipotesi estrema ma del tutto plausibile. Se i migranti della Diciotti fossero morti perché la nave affondava il ministro sarebbe stato penalmente perseguibile?
“Lei pone una questione che non risolve il problema preliminare. Il possibile contrasto, e il silenzio delle norme, sul fatto che da un lato vi è l’obbligo di salvare chi è in pericolo di vita in mare, e dall’altro la mancanza di una disciplina precisa su quale sia la situazione giuridica della persona salvata sotto il profilo della possibilità e libertà di movimento”.

Non pensa che la decisione di Zuccaro sia una dichiarazione di impotenza della magistratura rispetto a qualsiasi decisione politica venga assunta?
“No, non lo penso. Perché il rispetto delle proprie e delle altrui competenze è una regola fondamentale del nostro sistema costituzionale. Che vale sia per i magistrati che per i politici”.

 Non crede sia il riconoscimento di una supremazia assoluta della politica sulla giurisdizione? Il politico decide e il pm deve solo prendere atto, anche se c’è un possibile reato?
“Se il ministro si mantiene nell’ambito delle sue competenze e dei suoi poteri non mi pare che possa ravvisarsi un reato. Quanto alla procedibilità per un reato sono la legge e la Costituzione che prevedono un filtro rappresentato dall’autorizzazione del Parlamento proprio per garantire il rispetto della legge stessa”.

 Nel caso della Diciotti non sarebbe stato meglio far decidere alle Camere sull’esistenza del reato?
“Di una cosa sono certo. Sono contento di non essere nei panni né del ministro, né del comandante della nave. Che mi sembra dovrebbe essere l’altro punto di riferimento di questa vicenda. E comunque ricordo che il magistrato decide se vi sia il reato o meno e se sia stato compiuto nell’esercizio delle sue funzioni.
Mentre spetta al Parlamento decidere se l’indagato abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per un preminente interesse pubblico”.