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È in atto lo svilimento della Costituzione. Bisogna impedirlo

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Di Claudio Paudice per L’HuffPost

“C’è un attacco ai principi fondamentali della Carta compreso il dodicesimo, quello sul tricolore. Perché l’esercizio delle funzioni di ministro dell’Interno dalla spiaggia del Papeete Beach in infradito non è il modo migliore per evocare un emblema delle Istituzioni”.

Eppure, proprio dalle spiagge, Salvini ha ritirato il suo sostegno al Governo Conte e ha chiesto un rapido ritorno alle urne.
È un attacco all’articolo 1 della Costituzione. “La sovranità appartiene al popolo”, recita, ma aggiunge che la “esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Non si può sostenere che la ripartizione delle competenze e delle responsabilità sia solo un formalismo, e che gli organi di controllo previsti dalla Carta, se hanno da dire qualcosa, debbano giocoforza sottoporsi alla campagna elettorale. Il primo bersaglio è quindi il Parlamento, la sede fisica della sovranità popolare. Oggi si parla tanto di sostituire la democrazia rappresentativa con una democrazia diretta, ma io mi pongo due domande: diretta da chi e diretta dove? Francamente non lo sappiamo ancora, anche se stiamo navigando verso questa nuova forma di democrazia. E poi si dimentica una cosa..

Dica.
Si dimentica il compito altrettanto importante del Parlamento: il controllo politico. Il progressivo svilimento del Parlamento sta avvenendo per tappe. Ad esempio, passa dall’abuso della decretazione d’urgenza, con cui si anticipano decisioni che le aule parlamentari si limitano a convalidare (vedi ad esempio il decreto Sicurezza Bis). Si assiste poi, per fare un altro esempio, all’abuso del voto di fiducia con cui il Governo è solito includere in un unico grande comma un intero provvedimento per sottrarlo alla discussione parlamentare: prendere o lasciare.

Peraltro, in questo caso, è di pochi giorni fa il voto di fiducia della maggioranza, Lega inclusa, sul Decreto Sicurezza Bis. Esatto. Peraltro mi sembra inaccettabile il contenuto di quel decreto, con cui si afferma il principio che è più importante salvare una maggioranza che non esisteva – e si è visto – piuttosto che il principio di salvare vite umane in mare. Seguo in questo senso le riserve autorevoli formulate dal presidente della Repubblica nel promulgare quel decreto.

Torniamo al discorso sulle istituzioni. Il Governo ha quindi messo in atto una costante operazione di depotenziamento delle prerogative parlamentari.
Sì. Ad esempio, un altro modo per emarginare gradualmente il Parlamento è stata la pretesa della sua esclusione nel dialogo tra singole Regioni e Stato in tema di regionalismo differenziato. Ma, soprattutto, la picconata ultima è stata la più forte: riguarda il taglio del numero dei parlamentari, ormai diventato non un modo per migliorare l’istituzione, ma un pretesto per prolungare o meno la vita del Governo. Perché l’alternativa, dicono le forze politiche, è solo una, il voto anticipato. Mi sento di dire che siamo fuori strada perché il procedimento costituzionale della riduzione del numero di parlamentari è questione che nulla ha a che vedere con la durata di un Governo politico. E le due cose dovrebbero essere separate, anche se connesse politicamente. Non sono propedeutiche l’una all’altra.

Il suo discorso è basato su principi che al momento non sembrano muovere le azioni della politica, più concentrata sul proprio tornaconto in termini di consenso e di tutela del proprio orticello.
Nell’affrontare le crisi di Governo abbiamo l’abitudine a un approccio critico e mai positivo. Anche adesso il discorso della crisi viaggia soprattutto sull’attacco al passato, con recriminazioni reciproche su quanto fatto nei mesi precedenti. Ma non ci sono riferimenti ai contenuti di una proposta per il futuro, al di là di generiche affermazioni. Il tema della fiducia non è solo tema di numeri, ma anche di contenuti.

Oggi i partiti adducono diverse motivazioni per andare al voto o per tenere in vita la legislatura, che nascondono però dei fini più materiali.
Quei fini sono molteplici, spesso nascosti e i più diversi. Ad esempio, quello teoricamente nobile: ridurre le poltrone per combattere la casta. In realtà l’obiettivo può essere quello di strumentalizzare la diminuzione dei parlamentari per allungare la vita del Governo o accelerarne la fine. Ma pure il fine di chi vuole andare subito al voto per capitalizzare il consenso ne cela un altro più concreto. Perché, come è emerso troppo spesso, l’obiettivo ultimo può essere quello di decidere le nomine di società, enti pubblici e istituzioni che arriveranno a scadenza. Tutto questo non è certo un bell’esempio di trasparenza.

Quindi cosa dovrebbero fare le forze politiche?
C’è una regola fondamentale: non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo. Oggi sentiamo dire da parte della maggioranza che l’altra, ora avversa, ha ingannato gli italiani nell’esercizio del Governo. Allora la domanda da porsi è: se ne erano accorti? Se il partner ha ingannato gli elettori, possono essersene accorti e non aver detto nulla, in tal caso sono complici. Oppure possono non essersene accorti, e allora dovrebbero interrogarsi sulle loro capacità di gestione di una situazione di governo. Tra le cause evocate a torto o a ragione per la crisi c’è pure la questione della giustizia, anch’essa in crisi come è emerso dalle sconcertanti vicende per l’elezione dei capi degli uffici da parte del Csm. Qui però la responsabilità è soprattutto della magistratura e non delle forze politiche. In questo quadro affrontare il futuro significa prima di tutto eliminare queste abitudini, e considerare il tema non soltanto attraverso la critica del passato, ma attraverso la progettazione concreta del futuro. La vedo difficile.

Sintetizziamo: qualcuno sostiene non occorra la parlamentarizzazione, invece è giusto che la decisione se andare a votare o meno si assuma lì, la sede naturale. Corretto?
La parlamentarizzazione della crisi è fondamentale. E non ci si può accontentare di formule chimiche e matematiche per avere comunque i numeri di una maggioranza che tiri avanti per qualche tempo, ma occorre guardare ai contenuti e agli obiettivi. La prima cosa da fare è essere trasparenti.

Quella trasparenza che oggi manca, non mancano invece i calcoli politici…
È così, e soprattutto vediamo come questi calcoli vengano troppo spesso appoggiati da richiami alla Costituzione o alle sue modifiche, del tutto fuori luogo. Perché la discussione sulla Costituzione deve rimanere nell’ambito costituzionale e non diventare uno strumento per affrontare le questioni di politica quotidiana che oggi sono in ballo.

Si parla di un Governo istituzionale, o del presidente, o chiamato con altre formule, e circola anche il suo nome nell’ipotetica rosa…
Il mio nome non circola, non sono stato cercato da nessuno e partecipo come tutti alla discussione portando il mio contributo e la mia esperienza di studioso.

 

Se ricevesse però una telefonata…
‘Se fossi, se potessi, se dovessi, erano tre fessi che giravano il mondo’ recita un antico proverbio cinese. Se ricevessi, potrei: prima il congiuntivo, poi il condizionale. Ma al momento, ripeto, non circola nulla e non sono stato cercato.