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Una disciplina regionale dei diritti

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In che misura è possibile una disciplina regionale dei diritti?

  1. L’attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva, in materia di ordinamento civile e penale e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, conduce a una duplice conclusione: non è configurabile in ambito regionale la tutela di interessi e diritti che incidano sull’ordinamento civile in senso ampio; resta riservata alla legge statale la qualificazione e identificazione giuridica dei diritti (che le Regioni sono libere soltanto di integrare in melius). Ciò non vuol dire che ogni spazio di disciplina regionale dei diritti sia precluso
  2. E’ ammessa la disciplina di diritti che si leghino alle competenze statutarie in tema di organizzazione e di funzionamento dell’ente e di determinazione della forma di governo (partecipazione democratica alle funzioni amministrative dell’ente e di controllo sociale sugli atti di gestione; introduzione di procedimenti partecipati di progettazione sociale, di urbanistica partecipata ed altro).
  3. Altro ambito, per i diritti regionali, è quello delle provvidenze, delle sovvenzioni, dell’attribuzione di sussidi economici anche in settori estranei a quelli in cui lo Stato ha definito gli standard minimi di tutela. Le posizioni soggettive istituite da parte delle Regioni, tuttavia, non potrebbero mai configurarsi come diritti fondamentali in senso proprio. I diritti aventi base nella legge regionale, difatti, non possono toccare la definizione della persona, la sua collocazione nel sistema dei valori costituzionali, ma sono piuttosto l’effetto riflesso dell’attività amministrativa e organizzativa regionale.
  4. È necessario, per sviluppare le potenzialità del nostro sistema autonomistico, procedere con urgenza alla riforma dei meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche. La separazione fra centri di entrata e organi di spesa, infatti, spesso ha generato inefficienze e opacità nei meccanismi della responsabilità democratica, poiché i soggetti pubblici che erogano i servizi quasi mai coincidono con quelli che hanno imposto al cittadino l’onere tributario necessario al finanziamento di quei servizi.
  5. È opportuno intervenire sull’accentramento della raccolta fiscale, che non è pienamente compatibile né con l’art. 119 Cost., né con il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 Cost. Per il rispetto e per l’attuazione di tali principi è necessaria una maggior autonomia fiscale delle periferie: autonomia cui oggi si fa riferimento in termini di federalismo fiscale.
  6. Quest’ultimo, nell’ambito del nostro ordinamento, si orienta verso un decentramento fiscale che può svolgersi in due modelli alternativi: quello competitivo o concorrenziale; quello solidaristico o cooperativo.
  7. Il modello di decentramento fiscale prefigurato dalla Costituzione è di ispirazione solidaristico-collaborativa. Ciò non di meno anche in Italia vi sono le condizioni per introdurre forme di competizione fiscale, pur sempre nei confini segnati dalle leggi di coordinamento, attraverso la fiscalità di vantaggio regionale.
  8. La legge-delega del 2009, per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, rappresenta un primo passo importante verso l’autonomia e il decentramento. Altri passi, e più incisivi, si impongono in questa prospettiva, nella logica della sussidiarietà sia verticale che orizzontale, e di una riforma istituzionale che garantisca effettivamente l’autonomia, anche attraverso un Senato delle regioni.