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La memoria rende liberi

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  1. Con legge n. 177 del 2000 è stato istituito il Giorno della Memoria affinché non accada quanto scritto nel lager di Dachau: «coloro che dimenticano il passato sono condannati a ripeterlo». Il successivo provvedimento legislativo, del 2003, unificando due prospettive e cioè quella che guarda alla Shoah nella sua unicità e quella che guarda invece alle vittime di tutte le persecuzioni e di tutti i totalitarismi, ha previsto accanto al Museo della Shoah ed al “Binario 21” (della Stazione centrale di Milano da dove partivano i treni della deportazione) la creazione di un Museo dell’ebraismo italiano per ricordare le «testimonianze delle vicende che hanno caratterizzato la bimillenaria presenza ebraica in Italia» e «far conoscere la storia, il pensiero e la cultura dell’ebraismo italiano».
  2. E ciò è indubbiamente giusto; ma dobbiamo fare i conti con le trappole della memoria, che sono numerose. La memoria a comando, negazione del ricordo personale; il dovere della memoria come routine burocratica; la memoria falsa, per nascondere o creare conflitti; quella ufficiale, priva della critica e dell’analisi storica; quella rancorosa, fonte di risentimenti e divisioni, anziché di coesione.
  3. L’eccesso di memoria rischia di subordinare il presente al passato, di paralizzare la progettualità verso il futuro; l’inflazione della memoria rischia di cancellare il ricordo, sommergendolo nella moltiplicazione delle celebrazioni. La memoria può diventare un alibi per esorcizzare il futuro: ricordare gli orrori e gli errori di ieri per non affrontare quelli di oggi.
  4. A seconda della data di celebrazione che scegliamo, mutano i riferimenti alle responsabilità e alle vittime: la  memoria selettiva è inevitabile, ma è parziale. La scelta di una data anziché un’altra, di un evento piuttosto che un altro, non è mai neutrale; ha una forte valenza politica.
  5. Occorre che la memoria non diventi unicamente storia, espressione solo dell’intelletto e della conoscenza; asettica, astratta, non coinvolgente, per quanto necessaria al fine di evitare le aberrazioni dei revisionismi e dei negazionismi, oggi ricorrenti in varie forme.
  6. Fare memoria non è solo un diritto, è un dovere, un atto di giustizia: non perché sia imposta per legge, ma perché il ricordo lo dobbiamo a molti. Prima di tutto, a chi ha sofferto nella Shoah: ai sommersi, che possono testimoniare solo più nella nostra memoria; e ai salvati che possono ancora aiutarci a costruire quella memoria.
  7. Lo dobbiamo ai giusti; ma anche ai tanti fra noi che, sapendo, hanno taciuto o si sono voltati dall’altra parte. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli e nipoti e ai loro figli e nipoti, perché possano, almeno loro, non dover provare più quella vergogna.
  8. La Shoah, la catastrofe, la distruzione, è un unicum irripetibile. Ma le cause e le condizioni in cui e per cui è avvenuta, si ripropongono quotidianamente; anche se con forme diverse, talora più insinuanti e all’apparenza meno pericolose dell’infamia rappresentata dalle leggi razziali.
  9. Ecco perché bisogna sempre ricordare che i diritti umani sono universali, indivisibili: esprimono tutti insieme – quelli civili, politici, economici e sociali – la condizione umana. Non basta proclamarli; occorre garantirli a tutti e attuarli concretamente e custodire la memoria di tutti e per tutti.